Qualche giorno fa ascoltavo in tv Ilaria D'Amico raccontare che, da brava italiana, ai suoi esordi giornalistici ha ricevuto una 'spintarella' dall'amico di famiglia Renzo Arbore. Ebbene sì, lo confesso: anch'io ho ricevuto il mio 'aiutino da casa', nella persona di un amico di babbo.
Odiando profondamente il nostrano costume del figlio del cugino dell'amico del capo che, chissà per quale insano motivo, dovrebbe avere quella chance in più rispetto al figlio di nessuno, il mio rifiuto indignato è arrivato all'istante: "Io la raccomandata non la faccio. Se arriverò da qualche parte, lo farò solo con i miei mezzi". Benedetta ingenità.
Passano i mesi, dò fondo agli ultimi cv non ancora spediti, mi lambicco il cervello alla ricerca dell'idea che mi avrebbe fatto svoltare e che non arriva. Dopo un intenso pomeriggio di scontri interiori, metto orgoglio e dignità da parte e faccio la telefonata che "mi avrebbe aperto le porte". Mi fissano un colloquio con la redazione di un quotidiano on line, si parla del più e del meno. C'è anche l'editore che tiene a sottolineare che il mio stato di 'raccomandata' non mi avrebbe fatto ottenere privilegi. Niente di più vero. Secondo incontro con il direttore, mi spiegano quello che avrei dovuto fare, dettagli tecnici per l'invio degli articoli (visto che non avrei lavorato in redazione) e parte il periodo di prova. Un mese, dicono, e poi avrei potuto firmare. Il mese diventa due mesi e mezzo, durante i quali trotterello da una conferenza stampa all'altra. Ligia al dovere scrivo e invio, scrivo e invio, scrivo e invio. Il tempo passa, ma di un contratto neanche l'ombra. Ok, mi dico, mi stanno mettendo alla prova; sono seri, mica possono fidarsi del primo che arriva.
Con la redazione contatti inesistenti, io invio, loro pubblicano. Nessun riscontro, mai. Per quel che ne so potrei scrivere un articolo pieno di insulti e dopo qualche ora lo vedrei on line. Inizio a telefonare, parte lo scaricabarile: se ne occupa quello, no l'altro, no l'altro. Alla fine individuo il soggetto da tartassare: l'editore. Chiamate su chiamate, continui rinvii. Poi un giorno mi chiamano: è pronto il contratto, si firma. Tre mesi per 450 euro lorde complessive che non incasserò mai. Non faccio la schizzinosa e firmo, almeno, penso, posso iniziare a raccogliere gli articoli per l'iscrizione all'albo. In tre mesi ne scrivo più di cento. Conosco molte persone, ma non imparo un bel niente sulla professione. Quello che sapevo fare è quello che ancora so fare. Se sbaglio non lo so, come non so se sono una potenziale Pulitzer (ma lo escluderei...).
Ad aprile scade il contratto, ancora silenzio. Ricomincio con le telefonate, andrei anche in redazione, ma mi dicono che non troverei nessuno e farei solo un viaggio a vuoto. Inizio a lamentarmi e mi sento rispondere che se mollo, sulla loro scrivania c'è una pila di cv di ragazzi pronta a prendere il mio posto. Replico che almeno quei pochi soldi avrebbero potuto darmeli, visto che è tutto nero su bianco, ma anche in questo caso la risposta è pronta: posso anche aprire una controversia, ma poi dovrei scordarmi l'idea di scrivere per un qualche giornale della zona. A settembre firmo la proroga: un anno a 350 euro lorde complessive. Oltre a non essere uno scherzo, è anche ironico perchè, per un anno, avrei preso meno che per tre mesi. Mi dicono che quei soldi non li vedrò, ma in compenso non avrei perso i mesi fuori contratto.
Morale della storia: da oltre un anno collaboro con questo quotidiano, cerco le notizie, vado alle conferenze, scrivo e invio. Non ho ricevuto un euro e sono angosciata dal pensiero che al danno si possa aggiungere la beffa e che, a differenza di quanto mi hanno garantito, l'anno trascorso non valga neppure per l'scrizione all'albo. E pensare che sono raccomandata...
giovedì 26 novembre 2009
martedì 24 novembre 2009
Pubblicisti? Professionisti? Giornalisti!
Per le informazioni ufficiali il sito di riferimento è quello dell'Ordine (www.odg.it). Ma cos'è l'Ordine dei giornalisti? Premesso che a breve dovrebbe essere riformato, l'Ordine è un organo burocratico con cui si deve per forza fare i conti se si vuole essere legittimati a esercitare questo mestiere. Così com'è, l'Ordine prevede due principali categorie di giornalisti: i professionisti, che svolgono la professione in modo continuativo ed esclusivo e i pubblicisti, che lo fanno in modo continuativo ma non esclusivo.
Due categorie, due albi di riferimento. Per accedere a quello dei pubblicisti, per ora, è necessario dimostrare di aver collaborato per due anni in modo continuativo con un giornale (cartaceo o digitale), avendo scritto e firmato un certo numero di articoli, che variano a seconda dell'Ordine regionale di riferimento. Gli articoli devono essere recapitati alla sede dell'Ordine regionale a cui si chiede l'iscrizione, insieme alle ricevute di pagamento (per dimostrare che siamo stati in qualche modo retribuiti per il nostro lavoro). I 24 mesi di collaborazione non devono per forza avvenire nella stessa testata: importante è che non si superino i 6 mesi di inattività, altrimenti le precedenti collaborazioni perdono valore. Ricapitolando: due anni in redazioni (quotidiani, settimani, mensili) il cui direttore deve essere regolarmente iscritto all'albo; consegna di copie o stampe degli articoli scritti e firmati (numero variabile a seconda della regione) e dei cedolini che dimostrano la retribuzione ricevuta. Se verrà approvata la riforma, il confine tra i due Albi si assottiglierà, visto che spesso i 24 mesi necessari per diventare pubblicisti vengono svolti a tempo pieno. Per questo gli aspiranti pubblicisti dovranno frequentare dei corsi organizzati dagli Albi regionali, che dovrebbero riguardare soprattutto l'etica e gli aspetti normativi della professione. Trascorsi i due anni, gli aspiranti pubblicisti dovranno dimostrare di aver recepito qualcosa, insomma di non aver solo fatto passare il tempo - aspettando un riconoscimento finora 'scontato' - sostenendo un 'esame' di cui ancora non si conoscono bene le fattezze.
Altra storia per i Professionisti. Due le strade da percorrere per aspirare all'ambito attestato: frequentare una scuola di Giornalismo riconosciuta dall'Ordine nazionale (sono una decina in Italia, a prezzi che non definirei di favore), che permette di accedere all'esame di Stato. O lavorare (con contratto di assunzione) per 18 mesi per un giornale (previa iscrizione all'apposito Albo dei Praticanti) e poi sostenere l'esame. Fattibilissimo di questi tempi!
Due categorie, due albi di riferimento. Per accedere a quello dei pubblicisti, per ora, è necessario dimostrare di aver collaborato per due anni in modo continuativo con un giornale (cartaceo o digitale), avendo scritto e firmato un certo numero di articoli, che variano a seconda dell'Ordine regionale di riferimento. Gli articoli devono essere recapitati alla sede dell'Ordine regionale a cui si chiede l'iscrizione, insieme alle ricevute di pagamento (per dimostrare che siamo stati in qualche modo retribuiti per il nostro lavoro). I 24 mesi di collaborazione non devono per forza avvenire nella stessa testata: importante è che non si superino i 6 mesi di inattività, altrimenti le precedenti collaborazioni perdono valore. Ricapitolando: due anni in redazioni (quotidiani, settimani, mensili) il cui direttore deve essere regolarmente iscritto all'albo; consegna di copie o stampe degli articoli scritti e firmati (numero variabile a seconda della regione) e dei cedolini che dimostrano la retribuzione ricevuta. Se verrà approvata la riforma, il confine tra i due Albi si assottiglierà, visto che spesso i 24 mesi necessari per diventare pubblicisti vengono svolti a tempo pieno. Per questo gli aspiranti pubblicisti dovranno frequentare dei corsi organizzati dagli Albi regionali, che dovrebbero riguardare soprattutto l'etica e gli aspetti normativi della professione. Trascorsi i due anni, gli aspiranti pubblicisti dovranno dimostrare di aver recepito qualcosa, insomma di non aver solo fatto passare il tempo - aspettando un riconoscimento finora 'scontato' - sostenendo un 'esame' di cui ancora non si conoscono bene le fattezze.
Altra storia per i Professionisti. Due le strade da percorrere per aspirare all'ambito attestato: frequentare una scuola di Giornalismo riconosciuta dall'Ordine nazionale (sono una decina in Italia, a prezzi che non definirei di favore), che permette di accedere all'esame di Stato. O lavorare (con contratto di assunzione) per 18 mesi per un giornale (previa iscrizione all'apposito Albo dei Praticanti) e poi sostenere l'esame. Fattibilissimo di questi tempi!
venerdì 20 novembre 2009
CV: scriverlo
E' arrivato il momento: si scrive. Da dove cominciare? Digitando 'cv' o 'curriculum vitae' in un qualsiasi motore di ricerca escono tanti di quei risultati da perdercisi dentro. Consigli, cose da scrivere assolutamente o da evitare in maniera categorica. E modelli, tanti modelli. Come capire quale fa al caso mio? Alcuni sembrano quasi identici tra loro, differiscono solo per qualche riga in più o meno. Può una righina compromettere il mio futuro? Non esageriamo. Resta però il fatto che ogni mese arrivano alle aziende decine di cv e, per essere notati, qualcosa bisogna inventarsi.
Si dirà "questa mi viene a spiegare come si scrive un curriculum, ma sono due anni che li spedisce e non ottiene risultati". L'obiezione ci sta, ma rimango convinta che, non è il formato a fare la differenza. Certo, alcune aziende chiedono espressamente un formato piuttosto di un altro, e in quel caso si va sul sicuro. Il problema arriva quando non si hanno indicazioni e siamo noi a dover scegliere.
Come muoversi? Caso tipico: leggo un annuncio che attira la mia attenzione. Fa al caso mio? L'obiettività prima di tutto. Posseggo i requisiti richiesti? No? Inutile proseguire, perderei tempo e ne farei perdere. Sì? Raccolgo informazioni sull'attività dell'inserzionista. Ora so di che si occupa, so che profilo professionale cerca e so di essere in regola con i requisiti.
E' ora di farsi conoscere.
Si dirà "questa mi viene a spiegare come si scrive un curriculum, ma sono due anni che li spedisce e non ottiene risultati". L'obiezione ci sta, ma rimango convinta che, non è il formato a fare la differenza. Certo, alcune aziende chiedono espressamente un formato piuttosto di un altro, e in quel caso si va sul sicuro. Il problema arriva quando non si hanno indicazioni e siamo noi a dover scegliere.
Come muoversi? Caso tipico: leggo un annuncio che attira la mia attenzione. Fa al caso mio? L'obiettività prima di tutto. Posseggo i requisiti richiesti? No? Inutile proseguire, perderei tempo e ne farei perdere. Sì? Raccolgo informazioni sull'attività dell'inserzionista. Ora so di che si occupa, so che profilo professionale cerca e so di essere in regola con i requisiti.
E' ora di farsi conoscere.
- Premesso che non esistono regole fisse e universali, sveliamo qualche trucco.Tutti i modelli di cv hanno sezioni dedicate alla formazione e alle esperienze lavorative. Le une e le altre vanno elencate dalla più recente alla più lontana nel tempo. Questo per mettere in primo piano le attuali conoscenze e competenze, cioè cosa stiamo facendo nel momento che ci presentiamo.
- I neolaureati in genere hanno pochi lavori alle spalle, il più delle volte non legati alla professione per cui si candidano. Lavoretti come camerieri, babysitter, volantinaggio ecc., nella ricerca di una prima pccupazione, vanno comunque inseriti perchè permettono al selezionatore di farsi un'idea, non tanto sulle competenze professioanli del candidato, ma sulle sue attitudini caratteriali e relazionali.
- Per lo stesso motivo dovrebbero essere inserite, in una sezione denominata 'attività extralavorative', le esperienze artistiche, sportive, musicali ecc. più rilevanti.
- Se per conseguire la laurea si è impiegato più tempo del previsto, dovrebbe essere indicato ciò che si è fatto nello stesso arco di tempo, in modo da 'giustificare' il ritardo.
- Il voto di laurea va sempre inserito, quello di maturità può comparire come no: sicuramente sì se si tratta di un buon voto, in caso contrario si può evitare, correndo però il richio di dare l'idea di volerlo nascondere per ovvi motivi.
- Alla fine di ogni cv va autorizzato il trattamento dei dati personali, seguendo questa formula: 'Con la presente esprimo il mio consenso al trattamento dei dati qui riportati, ai sensi del D.Lgs. 196/2003' e firmando il curriculum.
- Il cv può essere scritto in prima o terza persona, o semplicemente come un elenco di attività, esperienze e capacità. Non esiste un metodo migliore e uno peggiore. La prima persona, in genere, rende più colloquiale il curriculum. Ma dato che il cv va sempre accompagnato da una lettera di presentazione scritta in prima persona, questa modalità è poco usata. La terza persona rende impersonale il curriculum (es. si è diplomato/laureato nel 2000 con 100 ecc.), ma, secondo me, anche un po' artefatto. Elencare esperienze formative e professioanali per data e descriverne gli aspetti principali rimane a mio avviso il metodo più efficace.
- L'ultima parte del curriculum, in genere, è dedicata alla descrizione del carattere e delle attitudini del candidato. E' importante dare di sè un'immagine positiva, stando però attenti a non esagerare (se si arriva al colloquio, molti degli aggettivi 'migliorativi' cadranno miseramente). Per compilare questi campi l'uso della prima persona potrebbe essere preferibile.
- Ad ogni modo sarebbe bene compilare diversi modelli di cv, ricordandosi di aggiornarli tutti ogni volta che un'esperienza rilevante si aggiunge alle altre, così da poter scegliere di volta in volta in base all'esigenza.
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CV: come vendersi
Quando ero all'università ho partecipato a un corso di orientamento al lavoro. In due giorni, un tipo (motivatore professionale di mestiere) aveva in mente di insegnarci a scrivere un buon curriculum vitae, una lettera di presentazione accattivante e prepararci, attraverso simulazioni, ad affrontare i colloqui di lavoro.
Lo ammetto, il tipo non era nelle mie corde, con quel voler essere simpatico a ogni costo. Spesso mi distraevo durante quelle ore interminabili. Quando siamo arrivati alla stesura del cv, invece, mi sono fatta attenta. "Il curriculum serve per vendersi a chi ci offre lavoro", ha esordito il solito tipo. Cominciamo bene, ho pensato. Indignata, traboccante di sani principi non ne volevo sapere di 'vendermi', di presentarmi al mio futuro ipotetico datore di lavoro come non sono, solo per ottenere il posto. Ero a sei esami dalla fine, un anno e qualcosa. Ad oggi, in sostanza, non ho cambiato idea. Penso ancora che solo non snaturandosi si possa dare un'immagine soddisfacente di sè.
Lo ammetto, il tipo non era nelle mie corde, con quel voler essere simpatico a ogni costo. Spesso mi distraevo durante quelle ore interminabili. Quando siamo arrivati alla stesura del cv, invece, mi sono fatta attenta. "Il curriculum serve per vendersi a chi ci offre lavoro", ha esordito il solito tipo. Cominciamo bene, ho pensato. Indignata, traboccante di sani principi non ne volevo sapere di 'vendermi', di presentarmi al mio futuro ipotetico datore di lavoro come non sono, solo per ottenere il posto. Ero a sei esami dalla fine, un anno e qualcosa. Ad oggi, in sostanza, non ho cambiato idea. Penso ancora che solo non snaturandosi si possa dare un'immagine soddisfacente di sè.
mercoledì 18 novembre 2009
Inizia la ricerca
Facendo due conti: se ci si immatricola tra i 19 e i 20 anni, ad andare tutto bene, ci si laurea tra i 25 e i 26 (era così per i quinquennali, i post-riforma ci mettono un po' di più). Poi? Poi si cerca lavoro. Dopo un mese, tempo di realizzare che la pacchia era finita, è ora di aprire una bella paginetta word e metterci dentro chi sono. Quello lo so e so anche dove abito. Le mie esperienze lavorative? Si apre il baratro, nonchè un paradosso molto interessante. Se proprio devono riformare l'università a ogni cambio di Governo, invece di spezzettare a destra e a manca potrebbero semplicemente renderla più pratica, in modo da preparare (come ormai accade in tutta Europa) i giovani al lavoro vero. Che poi magari non ci sarà, ma intanto si avrebbe un'idea un po' meno vaga di quello che si sarebbe potuto fare. Comunque, niente lamentele, continuiamo a subire passivamente...tanto io da solo/a che posso fare?
Devo scrivere cosa so fare e dove l'ho fatto. All'università ho studiato, mi sono arrangiata facendo la babysitter, ho fatto il servizio civile in una struttura che accoglie minori in difficoltà...ma di redazioni non ne ho viste manco col cannocchiale. Ah, ho fatto uno stage in un ufficio stampa...il primo di una lunga serie. Scrivo il mio scarno cv...a chi lo spedisco? Penso: se lo mando di mia iniziativa e i destinatari non stanno cercando nuove persone, mi cestineranno subito. Meglio rispondere agli annunci. In un mese ho creato quasi cento account per altrettanti siti di ricerca di lavoro, e giù a scrivere nickname e password. In qualche mese spedisco settanta cv in tutta Italia.
Di spostarmi l'avevo messo in conto e non mi crea problemi. Cercano gente giovane e con esperienza (?). Rispondono in cinque, tre a Milano e due a Roma. Prendo il treno e parto. Stage di sei mesi non retribuiti, affitti esorbitanti, tempo pieno. Come vivo? Torno a casa, tutte e cinque le volte.
E poi si lamentano che a trent'anni siamo ancora tutti con mammà e non ci sposiamo e non facciamo figli. Io al martrimonio non ci credo, quindi il problema mi tocca relativamente. Ma al rapporto di coppia sì e prima o poi vorrei avere dei figli. Poi...molto poi, se va avanti così.
Devo scrivere cosa so fare e dove l'ho fatto. All'università ho studiato, mi sono arrangiata facendo la babysitter, ho fatto il servizio civile in una struttura che accoglie minori in difficoltà...ma di redazioni non ne ho viste manco col cannocchiale. Ah, ho fatto uno stage in un ufficio stampa...il primo di una lunga serie. Scrivo il mio scarno cv...a chi lo spedisco? Penso: se lo mando di mia iniziativa e i destinatari non stanno cercando nuove persone, mi cestineranno subito. Meglio rispondere agli annunci. In un mese ho creato quasi cento account per altrettanti siti di ricerca di lavoro, e giù a scrivere nickname e password. In qualche mese spedisco settanta cv in tutta Italia.
Di spostarmi l'avevo messo in conto e non mi crea problemi. Cercano gente giovane e con esperienza (?). Rispondono in cinque, tre a Milano e due a Roma. Prendo il treno e parto. Stage di sei mesi non retribuiti, affitti esorbitanti, tempo pieno. Come vivo? Torno a casa, tutte e cinque le volte.
E poi si lamentano che a trent'anni siamo ancora tutti con mammà e non ci sposiamo e non facciamo figli. Io al martrimonio non ci credo, quindi il problema mi tocca relativamente. Ma al rapporto di coppia sì e prima o poi vorrei avere dei figli. Poi...molto poi, se va avanti così.
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Perchè questo nome?
Perchè 'Voglio fare la giornalista'? Perchè voglio fare la giornalista... da quando ho memoria, direi. Alle elementari le bambine della mia età giocavano a fare le ballerine; io le guardavo e volevo intervistarle per sapere com'era essere una ballerina. Alle medie mi sono fatta coraggio e ho confessato il mio sogno alla prof. di Lettere, che ha espresso tutta la sua fiducia nei miei confronti, dicendomi: "Francesca, già ti vedo che ci racconti quello che accade nel mondo, mentre le bombe ti cadono sopra". Ora è in pensione.
Al liceo la mia passione ha conosciuto il suo primo e credo unico concorrente: i ragazzi. Ma la voglia di sapere, di scrivere e di raccontare era sempre la stessa. Mi sono iscritta a Scienze della Comunicazione negli anni del boom di questa facoltà. Il primo anno eravamo quasi cinquecento. Tra alterne vicende, chi prima chi dopo, ci siamo laureati quasi tutti, andando a ingrossare il conto dei 'comunicatori'.
Gli ultimi dati disponibili, frutto di una ricerca condotta da Alma Laurea sui laureati del 2003, dicono che, dopo cinque anni, il 92% di loro ha trovato lavoro. Solo che uno su quattro è precario...e sottopagato. Tutto sommato posso ancora piangermi addosso per i prossimi tre anni...
Al liceo la mia passione ha conosciuto il suo primo e credo unico concorrente: i ragazzi. Ma la voglia di sapere, di scrivere e di raccontare era sempre la stessa. Mi sono iscritta a Scienze della Comunicazione negli anni del boom di questa facoltà. Il primo anno eravamo quasi cinquecento. Tra alterne vicende, chi prima chi dopo, ci siamo laureati quasi tutti, andando a ingrossare il conto dei 'comunicatori'.
Gli ultimi dati disponibili, frutto di una ricerca condotta da Alma Laurea sui laureati del 2003, dicono che, dopo cinque anni, il 92% di loro ha trovato lavoro. Solo che uno su quattro è precario...e sottopagato. Tutto sommato posso ancora piangermi addosso per i prossimi tre anni...
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Premessa all'uso di questo blog
Mal comune mezzo gaudio? Ma quando mai! Non so tu, ma quando mi trovo davanti facce cariche di comprensione, che guardandomi annuiscono e immancabilmente la buttano là: "mica sei solo tu, oggi come oggi tutti hanno difficoltà a trovare lavoro...c'è la crisi...è un periodo difficile...bla bla bla, bla bla bla", non mi consolo neanche un po'.
Mi chiamo Francesca, ho 28 anni e da due sono laureata in Scienze della Comunicazione.
Mi chiamo Francesca, ho 28 anni e da due sono laureata in Scienze della Comunicazione.
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